Poi dice la fuga dei
cervelli: Stefano, paradossalmente, lavora ogni attimo di tempo libero.
Lavora
sempre e dorme coi sensi di colpa. La verità vera è che ha tre lavori e per tre
volte si ritrova precario, nonostante una laurea in Fisica con tanto di dottorato.
Maledetta precarietà: perdere tempo vuol dire sprecare occasioni, e se lavorare
stanca, farlo diciotto ore al giorno, un po' massacra. Eppure a Stefano, classe
'64, lavorare piace, tutto quello che desidera, è di programmare la vita a
lungo termine, ma precarietà è proprio questa negazione.
Da precario, sa il
denaro che possiede ora, ma non sa per quanto se lo deve far durare.
Nel 2009
il suo guadagno è stato pari a zero e non sta nascondendo guadagni in nero. Per
l'anno in corso, dovrebbe, e non a caso usa il condizionale, “incassare”
ventitremila euro, con ogni probabilità ne verserà al fisco più della metà.
Nonostante che Stefano non svolga lavori qualsiasi, bensì utili alla
collettività: in primis, insegna matematica e fisica in un centro di formazione
professionale a Tor Bellamonaca, estrema periferia romana.
Ragazzi borderline
tra i quattordici e i diciott'anni, capita di doverli separare durante una
zuffa, molti hanno il coltello.
Ordinaria amministrazione in un mondo
diametralmente diverso dalla piccola borghesia in cui è cresciuto lui: eppure
parla del suo essere docente in prima linea come di un'esperienza fantastica
anche se molto faticosa, e aggiunge, non senza amarezza, che si potrebbero
scrivere libri e libri sui suoi ragazzi se solo qualcuno li avesse a cuore.
Parla, parla Stefano, racconta di come ricercatore universitario “in attesa di
contratto”, studi con passione i campi magnetici sulla superficie del sole.
Cominciò gratis e per puro divertimento, ma ora che ha ottenuto risultati interessanti,
con un paio di articoli in pubblicazione, l'Università lo vorrebbe a tempo
pieno, e c'è chi si sta muovendo per rimediargli un assegno annuale.
Esperto
informatico, Stefano, uomo di buona volontà, è anche consulente per una società
di cui sta ristrutturando la banca dati.
E se non fosse che si dice ateo,
Stefano sembrerebbe animato dalla regola ora et labora, fac et spera.
Consapevole che da precario non maturerà nessuna pensione, sa che lavorerà
finché potrà. Buffo è che chi ha un lavoro a tempo indeterminato non veda l'ora
di andare in pensione, mentre precari o liberi professionisti non ci pensano
proprio.
Sarà che lui, vivendo in una casa sua, non paga affitto, cosa
essenziale alla sua sopravvivenza.
A dirla tutta le case sono due, una a Roma e
una a Viterbo, lui vive e lavora nella capitale, sua moglie, precaria anche
lei, vive in provincia: s'incontrano nei finesettimana.
Due case di proprietà e
un reddito che c'è e non c'è, paradosso tutto italiano. E sebbene paghi tutte
le tasse fino all'ultimo centesimo e pure i farmaci, a parte un'esenzione per
patologia, Stefano ti dice che la sua instabilità economica condiziona l'intera
sua vita: il lusso di fare dei figli, per esempio, non se l'è potuto
permettere.
Gran rinuncia cui segue quella controcorrente, dell'inessenziale;
stando attento riesce a risparmiare non poco e coi risparmi si concede lussi
che coincidano solo con cose degne d'essere ricordate.
E di sé dice d'essere
fortunato a trovare soddisfazione nel lavoro, così è salvo dallo shopping compulsivo.
Se potesse, viaggerebbe di più, comunque per ricrearsi ha una valvola di sfogo
straordinaria, è un mago della barca a vela: cominciò ristrutturando una barca
di amici, oggi è ricercato per accompagnare skipper e per equipaggi da regata,
ma ci tiene a precisare che per la vela non ha mai speso un soldo, e mai ne ha
ricevuti, vuole resti un divertimento.
La parola dignità ora come ora non gli
dice niente, semmai gli ricorda logiche sindacalesi, o persone dalla poca
autostima. Conosce diversi insegnanti che pare nascondano la loro strutturata
insulsaggine dietro un atteggiamento molto dignitoso.
Altro che fuga di
cervelli, a Stefano non sfiora neanche l'anticamera dell'ipotalamo: dell'Italia
pensa che da sempre è all'avanguardia, in tutto, ma questa continua
sperimentazione costa un certo numero di vittime.
Pur ricominciando tutto da
capo ogni tre anni, Stefano crede nel voto, solo vede la democrazia come cosa
per persone perbene e secondo lui l'accesso al seggio dovrebbe essere
consentito solo dopo un esame d'ammissione.
E se gli parli di lotta di classe
ti dice che non è mai esistita e il meccanismo è sempre lo stesso: l'operaio
conosce cinquecento parole, il padrone cinquemila; quando però nasce una
borghesia che ne conosce diecimila e guadagna meno dei padroni, accade una
rivoluzione.
Legge tanto, per ora sta facendo fuori la letteratura
ottocentesca, quando avrà finito passerà al Novecento e quindi ai
contemporanei, ma anche qui, nello stamparsi troppi, troppi libri, scorge una
lettura bulimica, equiparata a qualsivoglia altro consumo.
Epperò Stefano non
lo freghi, se non altro, si riserva il diritto di scelta: ascolta classica e
rock anni settanta, al cinema va rarissimamente, a teatro quasi mai, se può
guarda tv straniere.
La realtà non lo ferisce, per lui non è un problema, così
come lui non è un problema per la realtà: c'era prima e ci sarà dopo; piuttosto
c'è da capirne i meccanismi e trasmettere le scoperte a chi è più giovane, e
conclude, “sempre che la realtà non sia solo il frutto della mia fantasia”.
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