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Francesco Bamai


Finalmente: un ateo pacificato; Francesco Bamai lo è: da bimbo credente con fervore, da adulto  prima ateo rimpiangente d’esserlo, poi la consapevolezza che il senso alle cose lo diamo noi. 
Cosa che permette di vivere l’intero universo con molta più meraviglia. 
Autentico stupore, prova di fronte al ciclo di vita di una stella, stesso stupore di fronte alla poesia, e recita Leopardi, le sue invocazioni alla Luna. 
Che il genere umano sia riuscito a sbarcarci, sulla luna, lo rende orgoglioso, lo riguarda e tutto ciò che sappiamo lo incanta. 
Passione e rigore a un tempo, classe 1974, Bamai si riconosce un forte baricentro interiore, forse il sine qua non per avere la fortuna di un lavoro fantastico, è editore di una casa editrice nata quattro anni fa, e traduttore per Mondadori. 
Al lavoro dalle 11 e per dieci ore, instancabile ideatore e sperimentatore di scritture e collane, grafico perfino. E poi tanti incontri, il fascino degli altri, tante storie e menti diverse, menti ben formate, tanti talenti, eppure, a voler tastare il polso alla povera Italia, anche un tasso di disperazione alto. 
Forse senza eguali in Europa. Forse perché abbiamo la percezione d’essere una nazione importante che si è persa, a torto; non è vero, e basta con il credere che il benessere degli anni del boom, fosse stabilito una volta per sempre, basta con il rimpiangere. 
Operoso come pochi, Bamai ha a cuore la coerenza, se gli parli di dignità, non ha dubbi, “fare sistema” fra ciò che dici al mattino e fai la sera; così si arriva a quarant’anni senza necessariamente credere di saperne meno che a venti. 
Lo diresti una roccia, eppure a ricominciare, si è trovato non poche volte, passaggi da cui si esce più forti se alla base di tutto c’è un lavorio su sé. 
E per essere coerente, trova che a ferirlo, sono le semplificazioni, dietro ci vede paura, di non sapere, di non capire, e in parte non guarda la tv perché in questo è regina. 
Ascolta la radio però, la mattina che per lui inizia tardi, nottambulo com’è; non rinuncia ad andare a cena fuori, a bere bene, e vive in un appartamento in affitto a ottocentocinquanta euro al mese, disponendo di un duemila euro in tutto, paga tasse e medicine.
La pensione non l’avrà mai, nonostante i trascorsi accademici, nove anni fra Parigi e Limoges, a insegnare letteratura comparata. Allora, da italiano all’estero, votava per posta, al voto ci crede.
Così come spera che la lotta di classe non sia finita e pur sempre con aplomb, ricorda una scritta, su una fontana di Cremona, dedicata “A coloro che hanno in ugual disdegno lo sfruttare e l’essere sfruttati”. 
Con i soldi ha un rapporto sano, non averli non gli procura particolare angoscia, anche se rinunciare ai voli intercontinentali gli pesa un po’, per il resto, viaggiare in Europa fa parte del suo mestiere che lui vive come fantastico. Ne è così entusiasta che vorrebbe farlo per sempre.    

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