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Marco


Il ritmo è importante, non solo a teatro. Lo sa bene Marco, teatrante da quando aveva vent’anni. Trovare il ritmo nel lockdown all’inizio non è stato semplice: i primi giorni grandi pulizie, bricolage domestico e poi, poi la svolta.
Si è ritrovato sul balconcino di casa, quello che affaccia su Via del Vignola, a osservare giorno dopo giorno il mutare dei platani, le prime foglioline, il via vai di passeri e gli invasori pappagalli, e a lui, appassionato di ornitologia, sembrava d’essere tornato ai suoi diciassette anni.
Si è ritrovato immerso in un grande libro La fine del mondo di Ernesto De Martino, cinquecento pagine densissime che gli hanno regalato un piacere immenso oltre al ritrovato ritmo.
Classe 1954, dopo quarantadue anni di lavoro in teatro, cinema e arti varie, oggi finalmente percepisce una pensione non male, milleduecento euro che dopo tanto penare segnano la prima entrata fissa e certa della sua vita.
La casa dove abita con sua moglie e una figliola, è di proprietà e si trova in uno stabile in cui Marco vive dal 1974: ha visto con i suoi occhi la trasformazione del quartiere, da piccolo borghese a trendy. A volte pensa di cambiare aria, ma poi rinuncia ché a quel vecchio quartiere di Roma nord in fondo c’è affezionato.
Si muove in moto, frequenta amici i più disparati, da chi fatica a mettere insieme il pranzo con la cena, a chi lo invita a improbabili soggiorni all’estero: lui declina con gentilezza l’invito e ti risponde che sì, l’economia condiziona tutto.
Consapevole di essere un privilegiato – anzi, forse proprio per questo -, quando gli chiedi a cosa rinunci, risponde “A me”, intendendo che potrebbe viversela meglio, la vita, invece, a tratti, s’ingarbuglia in pensieri che lo distolgono da sé, appunto.
Che di per sé è persona ricca assai d’interessi, a iniziare dal sanscrito che ha ripreso da un po’, lui che dopo il liceo classico e l’Università tutta – Storia del Teatro e Orientalistica – non diede la tesi ma in compenso si diplomò in hindi appassionato com’è di filosofia e letteratura indiana. Non rinuncia invece alle sigarette e benché il colesterolo segni l’alt, all’alcol. Le medicine, per fortuna poche, le paga.
Il senso che dà alla dignità è alto, complici gli esempi di sua madre e l’amato fratello. Lo associa al rispetto di sé e degli altri nella buona e nella cattiva sorte; lo associa a quell’essere presenti e lucidi che faceva dire a Gramsci che esistono due tipi di carcerati, quelli che si fanno la barba tutti i santi giorni, chi una volta a settimana.
Bella l’Italia è bellissima, per varietà, storia e immensa ricchezza uno dei posti più belli al mondo, ma purtroppo non c’è senso civico e uno strisciante criptofascismo, visto che i conti col passato li si è fatti fino a un certo punto. E ricorda al riguardo Dino Terra, intellettuale che ha avuto la fortuna di studiare per portarlo in scena a Lucca qualche anno fa, ricorda che menzionava il 25 giugno come il miracolo di San Giacomo, quando aveva trasformato tutti i fascisti in antifascisti.
Marco, che a vederlo sta tra una figura di Giacometti e il Marco poca carne grandi scarpe di Dalla, ha ricominciato tante volte in vita sua: in teatro e in amore, tante volte. Prima in gruppo con La Gaia Scienza, anni ’80, poi in duo con Alessandra Vanzi, poi ancora e ancora a reinventarsi, tutti cambiamenti forti che gli sono costati anni di vita mentale.
Oggi si è un po’ impigrito, dice, a teatro va pochissimo e se deve vedere un film al cinema preferisce Netflix e in tv, se capita, guarda qualche tg e Propaganda live.
Al voto ci crede eccome, ma come strumento ché la democrazia non si basa solo su quello e s’incazza, anche se capisce, con chi non vota ché “taoisticamente” non si vive.
Non si dice ateo, perché pensare che non esista una dimensione trascendente non gli torna e nutre grande rispetto per chi crede.
La lotta di classe c’è seppure spontanea e non rappresentata, anche se è in atto una ridefinizione delle classi. A ferirlo ci pensa la volgarità che lo deprime soprattutto.
Quanto ai desiderata, vorrebbe che in generale le cose cambiassero in meglio non solo in Italia ma in tout le monde; quanto a sé, gli piacerebbe tornare a fare un teatro senza l’ansia del risultato ma l’aria che tira, la mancanza di libertà, di ricercare, lo lasciano disarmato.

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