Claudio è un giornalista,
iscritto all'Ordine.
Per il “mercato del lavoro”, a quarantotto anni è un atipico di fatto
dipendente, continuato per nove mesi e subordinato, in più ha buon gioco con
collaborazioni sparse.
Ma a lui, maturità classica e una cultura musicale
sconfinata, di chiamare lavoro quel che fa proprio non gli viene.
“Lavorare”
non gli interessa perché la parola stessa ha ormai perso il valore sociale che
la rendeva nobile. Casomai quel che fa è vendere il suo tempo e parte delle sue
capacità cognitive e motorie: dalle sei alle otto ore al giorno con orari
mobili.
Ore che trascorre nella redazione di una radio, occupandosi dalla
progettazione culturale alla segreteria e viceversa, ma se fosse necessario
pulirebbe anche i cessi.
Il suo conto in banca, comunque, è sempre in rosso,
certezza matematica a fronte di un'incertezza anzi di un'impossibilità vera a
calcolare pagamenti mensili: deve fare una media annua ma è anche vero che ogni
anno cambia il totale dei lavori che riesce a sommare.
Statisticamente, può far
conto su un migliaio di euro al mese, a volte di più ma per la vita che fa non
gli serve molto.
Atipica rispetto al passato anche la sua posizione
contributiva, paga tutte ma proprio tutte le tasse, ma con ogni probabilità non
vedrà mai uno straccio di pensione.
Abita a casa della sua compagna, per cui
non paga affitto, cosa che gli è sempre parsa insensata; e vive soprattutto
nella propria testa: larga, comoda, accogliente e spera di farne un luogo
sempre più disponibile.
Non a caso riconosce che solo in parte l'economia
condiziona la sua vita sociale, influisce di più la sua forma mentis e quella
delle persone con cui condivide lo stare al mondo.
Un mondo che gli piacerebbe
conoscere in lungo e largo, ma viaggiare costa troppo. Per il resto è talmente
disinteressato a tante cose che sono davvero poche quelle alle quali rinuncia.
Ma non potrebbe fare a meno degli affetti, spazio, amicizia, tempo libero tutto
per sé, lettura o pensiero fini a se stessi o per fini che lui stesso non sa immaginare,
l'impegno politico, relazioni nutrienti, camminare, guardare il mare. Non
avendo alcuna passione per l'identità, Claudio non ama neanche la dignità, legata com'è allo sguardo
che si ha di sé o che si pensa gli altri abbiano su di noi: “la dignità mi è
estranea, non debbo salvaguardare nulla. Il mio io viaggia in un mondo diverso,
in cui il valore di sé è garantito per tutti”.
Un mondo davvero diverso,
sicuramente altro dall'Italia di oggi, che lui vede come una “forma di vita”
vecchia, da dismettere.
A ripensarci, gli sembra di aver ricominciato una
montagna di volte, ma è solo apparenza, appunto “dentro di me procedo sempre in
avanti, o casomai a spirale”. A votare ci va, ma non lega al voto
l'appartenenza a qualcosa. L'espressione “credo” gli è estranea; è una
questione, l'esistenza di Dio, che non si pone, una domanda che non si fa, una
risposta che non si dà.
Però è molto incuriosito dalla passione che pervade
tanta parte dell'umanità riguardo Dio. Pieno di pietas come pochi, Claudio
ricorda che la lotta di classe è un'interpretazione della trasformazione
sociale, cita Marx e non pensa che le idee vivano o muoiano, “casomai ci si fa
qualcosa o non ci si fa nulla. Questa è un'idea che fa paura”.
Lettore come
pochi, Claudio frequenta tante piccole librerie, ci passa ore fra gli scaffali,
attento com'è, per dovere e piacere, all'editoria. Non ha un cellulare Claudio,
non gli piace essere raggiungibile a oltranza; quanto alla televisione, la
guarda di notte, i vecchi film.
Ascolta solo la musica che sceglie di
ascoltare, naviga il meno possibile, a casa. Solare e socievole, non s'adegua
alla manipolazione della realtà, all'ideologia
di fronte alla quale prova una buona dose di rabbia senza sentirsi
impotente. Semmai sempre più insofferente verso l'abuso di potere e la
spregiudicatezza con cui viene giustificato lo squilibrio delle opportunità e
lo sfruttamento degli altri.
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