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Altobelli


Non riesce a mettere da parte un centesimo, l'Ingegner Altobelli. 
E sì che al mese arriva a guadagnare poco meno di duemila euro. 
Lavora dal Duemila in una compagnia telefonica, prima da interinale, tempo un anno e fu assunto a tempo indeterminato. 
Quaranta ore settimanali e se fa gli straordinari non glieli pagano. 
Dal lunedì al venerdì, dalle nove alle diciotto presta il suo cervello all'azienda, ma non tutto, una parte se la tiene per sé, per desiderare, in sinergia con tutto il cuore, un lavoro che gli faccia usare ciò che sa tutto il giorno, essere pagato per questo. 
Come tutti i nati di sabato, l'Ingegner Altobelli è un romantico, decadente quanto basta, eppure a trent'anni gli è nata la primogenita e tre anni dopo un altro bimbo, i suoi gioielli. 
Eccezione alla norma, lui all'indomani della laurea in scienze politiche, scelse, scelto a sua volta da una donna molto amata, la famiglia. 
Oggi vivono in quattro più una cagnetta adottata in una casa di sessanta metri quadri, l'Ingegnere ne è proprietario a metà, eredità che comunque dichiara nel modello setteetrenta, onestamente. 
Stessa onestà nell'ammettere che mentre nel mondo del lavoro avrà ricominciato sì e no un paio di volte, molte volte nel mondo dei rapporti. 
Tante abbastanza da desiderare che stabilità e senso profondo non dipendano più dagli altri, altri da mandare a farsi un giro più spesso. 
E come tutti i nati di sabato, l'Ingegnere Altobelli sfodera acume sornione nel confidarti che rinuncia a molto poco, qualche vacanza in terre lontane da Roma, intorno ai cui monti invece fa gite che poi racconta dal sganasciarsi dal ridere in un blog tutto suo. 
E di certo più che spendere soldi per la macchina o per la casa, preferisce investire in libri, musica, cinema, cibo e buon vino, vizi per la sua famiglia animali compresi. 
Giovane padre cresciuto con i sui figli, ogni giorno misura la sua dignità su quanto riesce o meno ad essere coerente con se stesso. 
Adesione a un'etica che nel corso del tempo, vuoi per disinteresse verso la politica nazionale, vuoi per mancanza di un partito di riferimento nell'arco costituzionale, si è arroccata in una sana diffidenza verso il contratto e lo Stato sociale, per farsi vicina all'utopia proudhoniana fondata sull'abolizione della proprietà privata. 
Non cose desidera l'Ingegner Altobelli, ma beni come pace, amore, risate, forza, lucidità e consapevolezza: quasi come Troisi, davanti a un'improbabile Madonna che lo inviti a esprimere un desiderio, lui snocciola una lista lunga lunga. Orientato al bene, riflette sull'idea di Dio, un'idea tutta umana, col condizionale accoglierebbe in sé una “bella bugia”, se ciò desse un senso di pienezza alla vita, se s'inverasse quell'impossibile ama il prossimo tuo come te stesso.
Il prossimo, l'Ingegnere, lo vede diviso e accomunato dal consumismo, ragion per cui la lotta di classe marxista è bell'e defunta. Epperò il capitalismo d'oggi lascia ampi spazi all'autorganizzazione per il cambiamento, e pensa sì alle piazze in cui scendere a esprimere dissenso, ma più ficcante è il pensiero della forza che potrebbero avere milioni di consumatori con l'arma del ricatto. 
Gli piace l'Italia, ama attraversarla, conoscere chi la abita, convinto sia un Paese da grandi occasioni per chiunque sia innamorato della bellezza. 
Apprezza anche la parte tragica del nostro vivere, quella perenne critica e insoddisfazione che non sfocia mai in un manifesto orgoglio di appartenenza che a lui fa orrore. 
L'Italia ha avuto due disgrazie, la Chiesa cattolica prima, dopo, la democrazia cristiana, braccio politico del Vaticano, al potere per impedire qualsiasi progresso. A volergli il giusto bene, gli italiani non sono liberi, non pensano autonomamente e son dediti a furberia e corruzione, disgraziata propensione.

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